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Dialettando – “A Lucera si dice 24”, modi di fare lucerini

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Lino Montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

I modi di dire sono la bellezza e il colore di ogni dialetto. Quelli che seguono sono una piccola parte di quelli che venivano o vengono utilizzati a Lucera per esprimere un modo di fare:
• A CÁCCHJE DE CÁNE = In maniera insoddisfacente
• ‘A FÍNE D’U MÚNNE = In maniera impareggiabile
• AMBRÈSSE, AMBRÈSSE = In fretta
• ‘A MORTE DE SÙBBETE = Senza esitare
• A QUILLE CHE VÉNE = Senza farsi tanti problemi
• A TARALLÚZZE E VÍNE = Con nulla di fatto
• A ÚMMA, A ÚMME = Deve rimanere un segreto
• BBÈLLE E BBÙNE = Senza nessun preavviso
• FUÍJENNE, FUÍJENNE = In maniera superficiale
• NDA ‘NA SCURDÁTE = Quando meno te lo aspetti
• SCIUÈ, SCIUÈ = Alla buona
• TOME-TOME = In maniera calma, compassata, imperturbabile
• CITTE TU E CITTE ÍJE! = Senza che nessuno parli
• FÁ I MOSSE = Fare moine, smancerie
• TUTTE ‘NA BBOTTE = All’improvviso, senza preavviso, di botto
• A TÁNDA ‘A LAGREME = Piangere senza freno, disperatamente
• SÒTT’A BBOTTE = Fatto immediatamente, con celerità
• PIGGHJA, PIGGHJE = Sfruttare con prontezza tutte le occasioni
• MMOCCA-MMOCCHE = Prestare la massima attenzione
• STÁTTE SOTE! = Un invito a smetterla
• NU VUTTA -VUTTA = Spingersi a vicenda.

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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