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Lucera
16 Aprile 2024
Lucera.it – Giornale Online sulla città di Lucera

Lino Montanaro

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Lino MontanaroLino (Michele) Montanaro è nato a Lucera ma da oltre quarant’anni vive a Brescia. libro_bar_de_chiara

E’ stato funzionario di Poste Italiane Spa ma oggi è in pensione.
Per il dialetto di Lucera ha avuto un particolare interesse fin da giovane, vivendo quotidianamente a contatto con i suoi concittadini e poi divertendosi a scrivere, con un amico, brevi “macchiette” in vernacolo lucerino.

Ultimamente, grazie soprattutto ai Gruppi aperti presenti su FB, ha riscoperto il dialetto lucerino, sentendo il bisogno di raccogliere, prima nella sua memoria e poi in appunti, proverbi, modi di dire, espressioni tipiche lucerine.

Sono in genere piccolissime pillole di saggezza popolare, tramandate di generazione in generazione, messe a disposizione di tutti attraverso la rubrica “Dialettando.

Un appuntamento fisso settimanale per non dimenticare storie, tradizioni ed origini della nostra amata Lucera.

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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