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Dialettando 239 – Modi di dire Lucerini

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lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 239

A Lucera non si dice “Per abitudine si mostra sempre sdegnoso” ma si dice
– “U TÉNE PE DEVEZZIÓNE CHE ADDA NGRUGNÀ U MÚSSE (Traduzione: Ce l’ha per devozione mettere il broncio)“

A Lucera non si dice “È una casa senza vita che mette malinconia “ma si dice
– “VUTARE SPUGGHJATE E CRISTE FUJÚTE (Traduzione: Altare spoglio e Cristo che non c’è più) “

A Lucera non si dice “Non puoi capire fino a che punto ho dovuto umiliarmi” ma si dice
– “AGGHJA AVÚTE VASÀ U CHERDÓNE A ZÈ MONECHE (Traduzione: Ho dovuto baciare il cordone di zio monaco) “

A Lucera non si dice “Ha forse scarse doti sessuali?” ma si dice
– “MA QUÈLLA FELARE DE BBETTÚNE FOSSE TUTTA VRACHÈTTE? (Traduzione: Ma quella fila di bottoni è per caso solo patta dei pantaloni?)

A Lucera non si dice “Anche le azioni più ingiuste col tempo si dimenticano” ma si dice
– “À CHJÚPPETE E NEVECATE E TUTTE SE APPARATE (Traduzione: Ha piovuto e nevicato e tutto si è spianato)”

A Lucera non si dice “Sono i genitori che si devono preoccupare dei figli“ ma si dice
– “CHI À FATTE I PÍDE, ADDA FFÀ PURE I SCARPE (Traduzione: Chi ha fatto i piedi, deve dare pure per le scarpe)“

A Lucera non si dice “Godere di qualcosa” ma si dice
– “JÌ PE LLATTE E PE SSANGHE! (Traduzione: Gli è andata per latte e per sangue) “

A Lucera non si dice “C’è contrarietà a fare qualcosa” ma si dice
– “SE ‘A ZITE NN’U VOLE VASÀ, DICE CHE I FÉTE U FIJATE (Traduzione: Se la fidanzata non lo vuole baciare, gli dice che le puzza il fiato) “

A Lucera non si dice “Ha l’abitudine di diffondere notizie false e tendenziose“ ma si dice
– “QUILL’ÉJA VÚNE CHE DÍCE SÈMBE CHE PASQUE VÉNE DE SABBÈTE (Traduzione: È una persona che dice sempre che Pasqua viene di sabato)”

A Lucera non si dice “Dedicare tutto il proprio tempo a qualcosa di utile” ma si dice
– “MÉTTE A MMÚLLE U BBACCALÀ (Traduzione: Mettere a dissalare e ammorbidire il baccalà)

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COPERTINALINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO

Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.

Com’è possibile prenotarlo?

Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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