U SPEZJALE era l’antenato degli attuali farmacisti, cioè colui che si occupava della preparazione delle medicine, dopo aver appreso la conoscenza dei medicamenti di origine minerale, vegetale o animale, la conoscenza delle loro modalità di raccolta, conservazione e preparazione, la conoscenza della loro composizione. Questo modo di concepire la professione di farmacisti sopravvisse fino agli inizi del 900’ quando non c’erano medicine prodotte in serie, ma si ricavavano le pozioni curative pigiando le sostanze chimiche e naturali in una specie di mortaio (u mortaje).
Con la nascita dell’Industria Farmaceutica e l’apertura delle prime Farmacie si affermò anche la professione del Farmacista, con il ruolo non solo di consegnare i farmaci prescritti e richiesti, ma di consulenza medico-farmacistica.
Fino agli anni 50/60 le farmacie a Lucera erano tre. La prima, inizialmente Carrescia, poi Colapietra, era in piazza Duomo sotto il Palazzo De Peppo. La seconda, inizialmente Ardito, poi D’Arco, era in via Gramsci (angolo via Quaranta) e la terza, inizialmente Ardito-Carrescia, poi Casiere, in piazza Gramsci. Negli anni sessanta si aggiunse la Parafarmacia – La Sanitaria di Nicolino Palmieri.
L’ironia popolare non poteva non risparmiare anche questa onorata professione con lazzi e modi di dire, come:
– Face sèmbe u spezjale = È un imbroglione;
– Quanne u cúle monda a vínde, u spezjale se pulizze i dínde = Se c’è buona salute, il farmacista rimane disoccupato;
– Fin’e quanne ‘a vocche magne e u cúle rènne, ce ne futtème d’i mideche, d’i medecìne e de chi li vénne = Se si sta bene, non serve né il dottore, né le medicine e, naturalmente, neanche il farmacista;
– È mégghje che mi mágne íje e nno u spezjále = I soldi è meglio che me li godo io e non il farmacista.