“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 129
A Lucera non si dice “Vale la pena fare un sacrificio se non serve almeno a qualcosa?” ma si dice
– “C’AMMA JI FÌNE A CAPRÁCOTTE PE ‘NA MAGNÁTE DE RECOTTE?”
A Lucera non si dice “Sta vivendo un’esperienza spiacevole” ma si dice
– “QUILLE VÁCE CAMENANNE C’A PÈTTELE DA FÓRE”
A Lucera non si dice ” Non da alcun peso a quello che gli altri dicono, fanno, pensano” ma si dice
– “PÈNZE E’ CÁZZE SÚJE E NÌNDE CCHJÙ”
A Lucera non si dice “Vuole che le sue cose vadano avanti senza intoppi e difficoltà” ma si dice
– “VÓLE JÌ NZÓPA NZÓPE CÚM’E L’ÚGLJE “
A Lucera non si dice ” Per sottrarsi a una situazione imbarazzante, se l’è svignata” ma si dice
– “VATTULUFRÍCHE, SE NE JÚTE DE CARRÉRE!”
A Lucera non si dice ” Agire con beffarda indifferenza!” ma si dice
– “A LLÀ CHE ME NE FRÉCHE!”
A Lucera non si dice ” Giovanotto è inutile che protesti, non ti ho neanche sfiorato” ma si dice
– “NEH, UAGLJÒ, T’AVÈSSE LUUÁTE NA PEZZÁTE? “
A Lucera non si dice “Battuta paradossale che viene pronunciata in risposta a chi chiede notizie su un funerale che sta transitando “ ma si dice
– “CHI È MÚRTE?” (questa è la domanda) “COSSESTÚRTE!” (questa è la risposta).
A Lucera non si dice “Se ne andato rapidamente per paura del peggio“ ma si dice
– “SE NE JÚTE CCHJÙ PPRÈSTE CHE SSÙBBETE “
A Lucera non si dice ” Finge di non interessarsi a qualcosa che desidera intensamente“ ma si dice
– “QUILLE FÁCE CÚME ‘A VOLEPE CHE L’ÙUE “
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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