Era una contessa della bassa friulana. Fu deportata perché sospettata di “austriacantismo”. Come migliaia di altri internati, ella fu vittima della legislazione speciale di guerra e dell’odio che in quel momento opponeva due Paesi in guerra: l’Italia e l’Austria. Una complessa indagine storica ne riporta alla luce la vicenda, dopo oltre un secolo di oblio.
Riposa nel cimitero di Celle di San Vito (FG) dal lontano 1916, ma la sua storia è stata scoperta e diffusa su una rivista scientifica solo ora. Si tratta dell’internata di guerra di nome Adelaide Modena, una contessa proveniente dalla bassa friulana, per la precisione dal piccolo comune di Scodovacca, in provincia di Udine, la quale nel 1915 fu internata in quanto moglie di un alto e pluridecorato dell’Impero asburgico.
Dopo la rottura della Triplice Alleanza, l’Italia entrò in guerra con l’Austria ed iniziarono così i rastrellamenti di persone sospettate di avere simpatie per questo Paese ormai nemico dell’Italia. Civili di ogni ceto e di ogni condizione sociale (massaie, cameriere, aristocratici e nobildonne, sacerdoti e anche bambini) furono spediti da zone come il Trentino ed il Friuli verso lontane destinazioni a Sud della penisola ed in Sardegna.
Le ricerche hanno preso l’avvio quest’estate ed hanno visto coinvolti i due territori della Puglia e del Friuli Venezia Giulia. Artefice della scoperta è la storica e saggista sannita Lucia Gangale, che nel recente passato si era già occupata di Celle attraverso un interessante studio presentato presso una Università francese.
Lucia Gangale, che è anche una giornalista ed una storica delle donne, ha passato al setaccio vari archivi tra le città di Lucera, Celle, Udine, Scodovacca e Gorizia ed alla fine con pazienza certosina ha messo insieme i pezzi di un composito quadro familiare e sociale, in cui si intrecciano le vicende di una famiglia di antica nobiltà, i Modena, e la brutalità della guerra, con tutto il carico di violenza perpetrato su civili inermi, colpevoli solo di abitare in un territorio conteso tra due differenti Paesi.
Si tratta, in effetti, di un filone di ricerca storica che nel nostro Paese è iniziato da circa vent’anni a livello accademico (soprattutto all’Università Ca’ Foscari di Venezia), ma che nelle zone del Friuli ha preso l’avvio alla fine degli anni Sessanta grazie alle ricerche dello storico e politico Camillo Medeot. Ancora oggi, sui libri delle scuole di ogni ordine e grado, non si fa cenno alcuno del dramma vissuto da queste migliaia di deportati (settantamila, per difetto), come se quella del profugato sia stata una faccenda del tutto privata e soggettiva. Una tragedia della quale era considerato naturale che le donne portassero tutto il peso, senza nemmeno il diritto di essere ricordate.
Questo scempio fu permesso dalla legislazione speciale di guerra adottata da tutti i paesi belligeranti e diede luogo ad abusi senza fine. Bastava un semplice sospetto, l’avere detto una parola di troppo contro i governi oppure una bugia detta da persone che avevano debiti con i sospettati, perché si finisse internati senza se e senza ma. Le leggi speciali di guerra non prevedevano alcuna complessa istruttoria e con l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915 il governo aveva già una lista di persone da internare.
Adelaide trovò sepoltura nel piccolo cimitero di Celle, dove le fu eretta una tomba dal figliastro Augusto, che il marito di lei, Carlo Augusto Modena, aveva avuto da una precedente relazione mentre combatteva per l’esercito austriaco nella terza guerra di indipendenza del 1866. Augusto fu poi naturalizzato una trentina di anni dopo. Anche lui, come detto, fu internato in Puglia, per la precisione a Lucera, dove faceva il commerciante di biciclette. Augusto poté ritornare a Scodovacca nel 1919, dandosi da fare per il miglioramento dei terreni di famiglia rimasti per troppo tempo abbandonati ed indebitandosi proprio per questo motivo. Adelaide era già morta nel marzo del 1916, all’età di soli 54 anni, dopo essere stata internata in una di quelle cellette dei monaci che davano sull’ampio belvedere esposto a tutti i venti e dove l’inverno è particolarmente rigido.
Un senso di dolorosa pietà suscita la storia di questa donna, sulla quale, prima di questo documentato studio condotto da Lucia Gangale, si trova solo un rapido accenno in un libro di Gabriella Tavano, sostituto procuratore della Repubblica di Bologna, originaria di Celle di San Vito. Il libro in questione si intitola Le lettere di Angela e l’episodio è accennato alla pagina 3.
Ora la storia di questo internamento è fruibile sulla rivista ad accesso aperto diretta da Gangale, all’indirizzo https://lepartageculturel.wordpress.com/2023/10/10/la-storia-sconosciuta-di-adelaide-modena-profuga-di-guerra-dal-friuli-alla-puglia/#6091c9f6-e936-4fb8-a736-e562ab37fc87.
Al di là della retorica di guerra che traboccava dai giornali d’epoca, compresi quelli pugliesi, questa dolorosa vicenda ci fornisce oggi l’esatta dimensione di una tragedia immane, nella quale persero la vita sia gli internati dal profondo Nord Italia, sia tanti giovani pugliesi, tra cui moltissimi cellesi, che furono spediti al fronte.
La ricerca è stata segnalata alla rivista dell’Università di Venezia, DEP – Deportate, esuli, profughe (www.unive.it/pag/31776/), ma sarebbe opportuno che l’Università di Foggia e Lucera comincino ad indagare sull’entità degli internamenti in Puglia, in quanto tale fenomeno costituì il precedente preferito del regime fascista, il quale si limitò solo a perfezionarne gli strumenti repressivi adottati.
La ricerca apparsa su Le partage culturel (ISSN 2975-1012) si avvale di moltissimi documenti e testimonianze. L’autrice ringrazia in modo particolare le dottoresse Genovese e Acquaviva dell’Infopoint di Celle di San Vito, nonché la storica friulana Adriana Miceu, che con estrema disponibilità e gentilezza ha fornito un supporto indispensabile alla complessa ricerca su Adelaide Modena.
Ora è in cantiere la realizzazione di un mediometraggio sulla vicenda di Adelaide, che potrebbe essere presentato nelle due comunità di Scodovacca e di Celle di San Vito.