Nella Lucera di una volta, il decesso del marito era vissuto sotto regole e comportamenti tradizionali che si caratterizzavano come vere e proprie rappresentazioni teatrali e la morte, paradossalmente, diventava una pagina di vita.
Quando moriva il marito, la moglie piangeva sempre a voce alta, si vestiva di nero, colore di abbigliamento che avrebbe portato per tutta la vita, e si scioglieva le trecce facendole cadere sul petto. Secondo una antica tradizione greca, la moglie faceva intervenire alla veglia funebre, delle donne, appositamente pagate, i chiagnamúrte, che piangendo e gridando, esaltavano le virtù del defunto.
La moglie per otto giorni non cucinava ed erano parenti e amici che si prodigavano per portare il pranzo (u cúnze) per la sua famiglia. Inoltre, non usciva di casa per un mese.
Le figlie del defunto si vestivano ugualmente di nero per diversi anni, almeno tre anni. I figli mettevano la cravatta nera e una fascia al braccio che e portavano per almeno tre anni.
Una pratica piuttosto diffusa era quella di fare una a fotografia al l defunto sul letto di morte. Prima, però, interveniva il barbiere per radergli la barba e per renderlo fotografabile. L’abilità dei fotografi lucerini riusciva a restituire vita all’immagine del defunto, anche con dei ritocchi.
Questa fotografia, di solito appoggiata a una delle campane di vetro che si trovavano sul comò, un mobile della camera da letto, era adornata da un vasetto di fiori e rischiarata da un lumino.
Dopo il funerale, in casa per tre sere si lasciava la luce accesa, mentre sul tavolo si metteva una fetta di pane e un bicchiere di acqua, affinché il defunto potesse vedere per l’ultima volta la sua casa e la sua anima non vagasse a lungo nell’oscurità.
In foto, funerale lucerina dal gruppo “FOTO DI LUCERA COM’ERA UNA VOLTA”