“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 241
A Lucera non si dice “I simili si accoppiano più facilmente con i loro simili” ma si dice
– “CHI L’ACCUCCHJATE A QUILLI DÚJE? ASSEMÈGGHJENE A GGIUVÍNE ‘A SSCELATÓNE E MESURÍLLE U SCUCCJANDÓNE!” (Traduzione: Chi ha accoppiato quei due? Sembrano Giovina l’inconcludente e Misurino lo sciocco)
A Lucera non si dice “Oggi a pranzo siamo ospiti “ma si dice
– “OGGÈ È JJÚTE A SALVEJÈTTA ‘NGANNE “
(Traduzione: Oggi si è appeso il tovagliolo al collo..)
A Lucera non si dice “Quando la frugalità, era essenziale, come modo di vita” ma si dice
– “QUANN’U CAFÓNE SE MAGNE ‘A GALLÍNE, O È MALATE ÌSSE O ‘A GALLÍNE”
(Traduzione: Quando il contadino si mangia la gallina, o è lui malato o è malata la gallina)
A Lucera non si dice “I lavori più duri toccano sempre a chi obbedisce docilmente” ma si dice
– “TUTTI I CIUCCE ZÙPPE A PUTÉCHE MASTALÍJE “
(Traduzione: Tutti gli asini zoppi sono portati alla bottega di Mastro Elia)
A Lucera non si dice “Battuta eccentrica in risposta a chi chiede: CHE ÓRA È?” ma si dice
– “ ‘A LANCÈTTE PECCENÈNNE SÓP’A MAMMETTE E ‘A GROSSE SÓP’A SORETE! “
(Traduzione: La lancetta piccola su tua madre e quella grande su tua sorella)
A Lucera non si dice “Oggi è di pessimo umore“ ma si dice
– “STAMMATTÍNE S’È SSCETATE CHE L’ÓVE DE QUARTE “
(Traduzione: Questa mattina si è svegliato con l’uovo storto)
A Lucera non si dice “Non è minimamente interessato ai problemi degli altri” ma si dice
– “DA ‘NA RÈCCHJE SÉNDE E DA U CÚLE I ÈSSCE”
(Traduzione: Da un orecchio sente e dal culo gli esce)
A Lucera non si dice “Ma tu veramente credi che io ho grandi possibilità economiche?” ma si dice
– “MA TU TE CRÍDE ADDAVERAMÈNDE CHE ÍJE TÉNGHE U PREVÉTE ND’A CASE?”
(Traduzione: Ma sei convinto che io ho un prete in casa?)
A Lucera non si dice “Ogni cosa va fatta a suo tempo “ma si dice
– “U SÀBBETE SANDE ‘A SSÈRA, NEN S’APPICCENE CCHJÙ CANNÈLE ”
(Traduzione: Il Sabato Santo, di sera, non si possono più accendere le candele)
A Lucera non si dice “Le sue intenzioni non sono mai buone” ma si dice
– “VÉNE SÈMBE CHE L’ÓGNA SPACCATE “
(Traduzione: Viene sempre con l’unghia spaccata).
———————————————————————————————————————-
LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
[LINO MONTANARO BIOGRAFIA E PUBBLICAZIONI PRECEDENTI]