“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO: A LUCERA SI DICE
Premessa: Nel dialetto lucerino esistono diverse espressioni volte a intimidire, spaventare o a minacciare qualcuno. Ecco alcuni esempi:
A Lucera per minacciare qualcuno che si vuole picchiare in modo duro, si dice:
– “ T’AGGHJA VEDÈ MÚRTE NDÈRRE! “
A Lucera per minacciare qualcuno cui si vuole gonfiare la faccia di botte si dice:
– “ T’AGGHJA FÀ ‘A FÁCCE CÚM’E NU SAMMARSÁLE MBUTTÍTE “
A Lucera per intimidire qualcuno cui si vuole riempire la testa di bernoccoli, si dice
– “ T’AGGHJA VEDÈ C‘A CÁPE VUZZE VUZZE! “
A Lucera quando si minaccia qualcuno di colpirlo violentemente alle reni, si dice
– “ T’AGGHJA VEDÈ SDERENÁTE “
A Lucera per intimidire qualcuno prospettandogli la perdita di sangue dalla gola si dice
– “ T’AGGHJA FÀ ASSCÌ U SÁNGHE DA NGÁNNE! “
A Lucera per spaventare qualcuno cui si vuole procurare delle fratture di ossa , si dice
– “ T’AGGHJA SPETAZZÀ! “
A Lucera per minacciare qualcuno cui si vuole provocare con un colpo una emorragia al naso , si dice
– “ T’AGGHJA FÀ ASSCÌ U BBRODE RUSSCE D’O NÁSE “
A Lucera per minacciare qualcuno che si vuole rendere cieco , si dice
– “ T’AGGHJA SCKATTÀ N’ÚCCHJE! “
A Lucera per minacciare qualcuno cui si vuole rompere le gambe , si dice
– “ T’AGGHJA VEDÈ CH’ I CÓSSE ACCIUNGÁTE! “
A Lucera per augurare a qualcuno una morte istantanea, si dice
– “ PUZZA MURÌ DE SÙBBETE! “
A Lucera per minacciare qualcuno di farlo precipitare per le scale, si dice
– “ T’AGGHJA VEDÈ RUCELIJÀ P’I SCÁLE! “
A Lucera per minacciare qualcuno di dargli un colpo in faccia così forte da fargli saltare i denti, si dice
– “ T’ABBOTTE I DÌNDE! “
A Lucera per augurare a qualcuno una morte causata da una forte emorragia interna, si dice
– “ PUZZA SCKATTÀ NGÚRPE! “
A Lucera per minacciare qualcuno di ridurlo in pezzettini, si dice
– “T’AGGHJA FÀ FÈLLE FÈLLE! “
A Lucera per minacciare qualcuno di ridurlo in frantumi, si dice
– “ T’AGGHJA VEDÈ SFRACANÁTE! “
A Lucera per augurare a qualcuno di vederlo avvilito, demoralizzato, umiliato, si dice
– “ T’AGGHJA VEDÈ C’A LÈNGHE PE NDÈRRE! “
A Lucera per pestare qualcuno in maniera molto forte e molto violenta, si dice
– “ T’AGGHIA FÀ CÚM’A TTRÈ ÓRE DE NOTTE! “
A Lucera per minacciare qualcuno di provocargli con percosse e lesioni il rigonfiamento delle labbra, si dice
– “ T’ABBOTTE U MÚSSE! “
A Lucera quando si vuole avvisare qualcuno, che ha la pessima abitudine di arraffare tutto, di brutte conseguenze, si dice
– “ T’AGGHIA CIUNGÀ I MMÁNE! “
– A Lucera per indicare che si vuole vedere qualcuno conciato malissimo, si dice
– “T’AGGHJA VEDÈ ARREDÚTTE ACCE E ÓVE “
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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