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Dialettando – “A Lucera si dice 40”, parole nuove in uso tra i giovani

realizzazione siti web Lucera

Lino Montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

Nella società moderna ormai, specialmente tra i giovani, ci si è abituati ad usare parole nuove e, contemporaneamente, c’è un lento declino dell’uso del dialetto, soprattutto nell’uso di parole che sono diventate obsolete e desuete estranee al nostro lessico quotidiano perlopiù figlie di un dialetto che oggi si fa sempre più fatica a tramandare.

Ecco alcuni esempi :

BBALLATÚRE = Balcone piuttosto stretto che segue il perimetro interno o esterno di un edificio
CANE = Eccezionale e devastante sbornia
CECCUZZE = Discussione su argomenti frivolo
CUSETÓRE = Sarto, rappezzatore, rammendatore, riparatore
DDEFRISSCKE = Situazione spiacevole e inaspettata
GAMMÈTTE = Varco verticale aperto in un muro
LACÍRTE = Taglio della carne tra il girello e la parte superiore della coscia del bovino macellato
MÈZZACUCCHIARE = Muratore inesperto, incompetente
NICS = Niente, nulla
PAGLJÈTTE = Avvocato intrigante e cavilloso, di dubbia moralità, che solitamente portava cappelli di paglia
PALANGHÍNE = Bastone di ferro con estremità appiattita usata come leva
PETTENÈSSE = Pettine fitto, forcina
RAZZIÚNE = Preghiere, orazioni
RIZZE = Cacca di cane calpestata in strada
SACCÓNE = Materasso fatto con le foglie secche di granoturco ed altre paglie utilizzato nelle case povere

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

[LINO MONTANARO BIOGRAFIA E PUBBLICAZIONI PRECEDENTI]

 

 

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