Termine dialettale che deriva da fóre (campagna). Erano donne che lavoravano nei campi e abitavano particolarmente nei quartieri di San Giovanni (Sangiuvannare) e San Matteo (Sandemattjane).
La mattina presto si radunavano Abbassce a Porte Tróje (nella piazza antistante a Porta a Troia), per essere scelte dal curatolo (curatele), un dipendente che dirigeva l’azienda agricola assicurando il reclutamento dei braccianti, l’organizzazione del lavoro, il controllo sullo stesso e la sicurezza della masseria, o dal capurale (caporale), che anch’esso si occupava del reclutamento e organizzazione della manodopera per la campagna.
Si recavano al lavoro in campagna, con la zappa sulla spalla, a piedi ed in gruppi, perché all’epoca non c’erano altri mezzi di locomozione. La loro tenuta da lavoro era così costituita: in testa avevano u maccature (il fazzoletto), che annodavano sotto il mento, addosso avevano ‘a vèste (il vestito), sotto avevano ‘a fascètta (una specie di reggiseno di un sol pezzo), sopra avevano ‘a giacchètte, sulle spalle u farcettóne (uno scialle per le giornate fredde), ai piedi i cavezzètte, calze sferruzzate, e i scarpe, scarpe dai tacchi bassi.
Per proteggere i vestiti durante il lavoro indossavano u grambiale (il grembiule).Un abbigliamento molto rigoroso anche per meglio difendersi dalle avance dei capurale e dei curatele. Si pettinavano a tuppè, (una pettinatura alta e stretta sulle tempie).
Durante la giornata lavorativa queste donne non si risparmiano: raccoglievano olive, foraggi, conducevano animali, vangavano, facevano i lavori della vendemmia e mietevano. Solitamente durante le lunghe ore lavorative, intonavano canzoni dialettali di cui la più gettonata era la canzone di Filumene ‘a figghje de Spaccalègne, del quartiere Le Mura, una ragazza uccisa a coltellate da un innamorato deluso. Non mancavano anche canzoni allegre, spesso, sconvenienti.
Terminato il lavoro, si avviavano sempre a piedi verso Lucera, dove l’aspettavano tutte le faccende di casa.
“FOTO DI LUCERA COM’ERA UNA VOLTA”