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29 Marzo 2024
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Dialettando 301 – Modi di dire Lucerini

dialettando 56 modi di dire lucerini
realizzazione siti web Lucera

lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 301

A Lucera non si dice “Sei senza speranza, la tua situazione non cambierà di molto! “ ma si dice
– “ÉJE VOGGHJE A CHIAGNE U MISERÈRE! “ – (Traduzione: Hai voglia a piangere il miserere!)

A Lucera non si dice “Sei una persona senza pudore, senza ritegno” ma si dice
– “‘A LÓTE T’À LIVE D’E PÍDE E T’À MÌTTE MBACCE “ – (Traduzione: Il fango te lo togli dai piedi e lo metti sul viso)

A Lucera non si dice “Il denaro è capace di condizionare la vita di chiunque” ma si dice
– “I SOLDE S’APPEZZECHÉJENE PURE MMANE E’ SANDE” – (Traduzione: I soldi si attaccano persino alle mani dei santi)

A Lucera non si dice “Il loro è un rapporto altalenante, fatto di litigi e riappacificazioni” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJENE I CUMMARE TORREMAGGIÓRE” – (Traduzione: Sembrano le comari di Torremaggiore)”

A Lucera non si dice “È un adulto che non è mai cresciuto” ma si dice
– “UÈJA, UÈJE, STACE ANGÓRE ATTACCATE E PÈTTELE DA MAMME! “– (Traduzione: Che vergogna, è ancora attaccato alle gonne della mamma!)

A Lucera non si dice “Mai correre dei rischi senza considerare le conseguenze” ma si dice
– “BBESOGNA FÀ U MEZZECHE QUAND’ÉJA ‘A VOCCHE” – (Traduzione: Occorre fare il boccone proporzionato alla bocca )

A Lucera non si dice “È meglio essere primo tra i modesti, che ultimo tra i grandi” ma si dice
– “È MÈGGHJE ÈSSE CAPE DE CRUGNALÈTTE CHE CODE DE CEFALE “ – (Traduzione: È meglio essere capo dei pesciolini che in coda ai cefali)

A Lucera non si dice “Era una persona stimata e benvoluta da tutti” ma si dice
– “L’ÀNNE CHIAGNÚTE PURE I PRÉTE “ – (Traduzione: L’hanno pianto anche le pietre)

A Lucera non si dice “La necessità costringe a muoversi e ad agire “ ma si dice
– “U CIUCCE A VECCHIAJE SE METTIJE A TRUTTÀ”– (Traduzione L’asino in vecchiaia si mise a trottare)

A Lucera non si dice “Se vuoi conoscere le capacità di una persona, devi affidargli qualche responsabilità e vedere come si comporta” ma si dice
– “VÚJE VEDÈ U FÈSSE? MITTECE ‘A COPPELE ‘NGÁPE! “ – (Traduzione: Vuoi scoprire un fesso? Mettigli un cappello in testa!)

 

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COPERTINALINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO

Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.

Com’è possibile prenotarlo?

Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

[LINO MONTANARO BIOGRAFIA E PUBBLICAZIONI PRECEDENTI]

 

 

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