“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 318
A Lucera non si dice “Sono immersi in un sonno profondo “ ma si dice
– “STANNE ANGÓRE CECANNE! “ – (Traduzione: Stanno ancora con gli occhi chiusi)
A Lucera non si dice “Ho una consistente perdita di forza muscolare” ma si dice
– “NEN ME POZZE MANGHE FREZZECÀ “ – (Traduzione: Non mi posso neanche muovere)
A Lucera non si dice “Sono veramente intirizzito dal freddo” ma si dice
– “STÉNGHE CHIETRATE CÚM’E NU TANDÍLLE “ – (Traduzione: Sono congelato come un ghiacciolo )
A Lucera non si dice “Non posso mangiare questa poltiglia!” ma si dice
– “CHE M’AGGHJA SSCIACQUÀ ‘A PARATÚRE? “ – (Traduzione: Che devo sciacquare l’intestino?)
A Lucera non si dice “Ho mangiato veramente troppo!” ma si dice
– “‘STA MAPPAZZE S’È MMÍSE SÓP’U STOMMECHE!” – (Traduzione: Il tanto cibo si è messo sullo stomaco).
A Lucera non si dice “Perché ha lasciato il cibo nel piatto? Non ti piace?” ma si dice
– “É FÀTTE ‘A PUNGÈNDE ? “– (Traduzione: Hai fatto la scelta?)
A Lucera non si dice “Ha un eccesso di salivazione per la rabbia” ma si dice
– “TÉNE ‘A SCKÚME A VOCCHE” – (Traduzione: Ha la bava alla bocca)
A Lucera non si dice “La conta per il gioco ha stabilito che tocca a me decidere” ma si dice
– “U TÚCCHE È SSCIÚTE A MMÈ “ – (Traduzione: Il conteggio ha favorito me)
A Lucera non si dice “Gli ho procurato un ematoma con un calcio negli stinchi” ma si dice
– “CI’AGGHJE FATTE I GAMMARÌLLE NÍREVE, NÍREVE “ – (Traduzione: Gli ho fatto gli stinchi neri, neri)
A Lucera non si dice “Ha compiuto un’impresa eccezionale” ma si dice
– “A QQUÀ À FFATTE U STRAVEDE!”– (Traduzione: Qui ha fatto meraviglie)
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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