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1 Novembre 2024
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Dialettando 324 – Modi di dire Lucerini

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lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 324

A Lucera non si dice “La ragazza è sposata o no?” ma si dice “MA QUÈLLA UAGLJIÓNE ÉJE SCKÉTTE O MARETATE? “ – (Traduzione: Quella ragazza è nubile o maritata?)

A Lucera non si dice “Ha i piedi più lunghi del normale” ma si dice “TÉNE CÈRTE PANDASCKE DE PÍDE” – (Traduzione: Ha certi piedi grossi)

A Lucera non si dice “E’ un perditempo che infastidisce le persone“ ma si dice “VACE MENANNE ‘A CÍTE ‘NGÚLE E CANE “ – (Traduzione: Va mettendo l’aceto nel culo dei cani)

A Lucera non si dice “La rassegnazione per una promessa non mantenuta” ma si dice “DUMANE, U CIACCIATE! “ – (Traduzione: Domani il Ciacciato!) Nb: U CIACCIATE era il soprannome di un personaggio lucerino , conosciuto come uno che non rispettava mai le promesse fatte

A Lucera non si dice “E’ sempre in uno stato di grande tensione” ma si dice “STACE SÈMBE CHE L’ÀNEME ‘MBONDE E DÍNDE “ – (Traduzione: Sta sempre con l’anima sulla punta dei denti)

A Lucera non si dice “È considerato meno di niente” ma si dice “U TENÈNE NGÚLE E SÒTT’E PÍDE” – (Traduzione: Lo tengono nel sedere e sotto i piedi)

A Lucera non si dice “Mi posso permettere di aspettare la restituzione del tuo debito” ma si dice “CHE, M’AGGHJA CCATTÀ U PANE? “– (Traduzione: Che, mi devo comprare il pane?)

A Lucera non si dice “E’ un ragazzo di grande corporatura” ma si dice “S’È FFATTE QUAND’È ‘NA PACCHE DE PORTE “ – (Traduzione: E’ diventato grosso come l’anta di una porta)

A Lucera non si dice “C’è stato l’alternarsi continuo di situazioni meteorologiche atmosferiche” ma si dice “OGGE U TÍMBE À FÀTTE U LASS’E PIGGHJE “ – (Traduzione: Oggi il tempo ha fatto lascia e piglia)

A Lucera non si dice “Mi fa male la parte terminale della colonna vertebrale” ma si dice “TÈNGHE TUTT’U CHETERUZZE ADDULURATE”– (Traduzione: Ho l’osso sacro dolente)

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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