“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
Il dialetto, in genere, è composto di un insieme di termini, espressioni, spesso colorite, che rendono meglio un concetto perché pronunciati, spesso, con una dose di sana ironia.
Ecco di seguito una breve (e sicuramente incompleta) lista di termini lucerini singolari, con una breve spiegazione del loro significato:
– A Lucera quando si indica una donna dall’aspetto molto trascurato, cioè trasandata, si dice “ ‘NA SSCIONDE “
– A Lucera la persona di bassa statura e larga di fianchi, si chiama “ CACÓNE “
– A Lucera per indicare quelle persone con pochi capelli o addirittura calvi, si dice “ COCCE DE MÚRTE “
– A Lucera per indicare una persona incapace, disordinata e ignorante, si dice “ SSCIACQUALATTÚGHE “
– A Lucera quando ci si riferisce ad una persona priva di spirito, di vivacità intellettuale o ci riferisce a un cibo senza sapore, si dice “ È SSCELÁTE “
– A Lucera quando un taglio di capelli è riuscito male, si dice “ ZÁNNE, ZÁNNE “
– A Lucera per definire le labbra carnose, oggi rifatte da molte donne, si dice “MÚSSE DE CIÁCCHE “
– A Lucera nel linguaggio infantile per indicare la carne, si dice “ ‘A CIACCÈLLE “
– A Lucera quando una persona è troppo scrupolosa, cavillosa, piena di zelo, si dice “ ZELLÚSE “
– A Lucera per indicare una persona che provoca polemiche, conflitti e confusione, si dice “ PPICCIAFÚCHE “
– A Lucera per indicare una persona di cui non si ha una grande considerazione, si dice “ N’ÓME DE CÁZZE “
– A Lucera per indicare una persona che è introversa, non disponibile al dialogo, si dice “ NDREZZÚSE “
– A Lucera per indicare quegli uomini che osservano in maniera libidinosa, oltre ogni decenza, le donne, le toccano e le palpano, si dice “ RATTÍGNE “
– A Lucera per indicare una persona che crede facilmente a tutto, anche alle cose più inverosimili, si dice “ BBALÈNGHE “
– A Lucera quando qualcuno dimostra abitualmente avarizia, si dice “ ‘NA SCORZE “
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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