Erano figure, un po’ bizzarre, presenti anche a Lucera fino al secolo scorso. Lamentatrici di mestiere, cioè donne pagate, a soldi, con grano o altri beni per piangere il defunto, raccontare la sua storia, tesserne le lodi e manifestare il dolore della sua dipartita.
Un impegno che spesso svolgevano anche se non conoscevano o conoscevano a mala pena il defunto. Vestite di nero e con i lunghi capelli sciolti, erano presenti nella casa ove si trovava il defunto, insieme a suoi parenti e amici; partecipavano anche al corteo funebre che accompagnava la salma al cimitero, con urla disperate, che si univano al pianto dei parenti più stretti. Arrivavano a strapparsi i capelli, a simulare svenimenti e anche a graffiarsi la faccia. Continuamente intonavano canti e litanie di lamento che si tramandavano di generazione in generazione; e quanto più i pianti ed i lamenti erano forti, tanto più si dimostrava rispetto e dolore per il defunto.
Queste “mercenarie della sofferenza”, le cui tracce si perdono nel tempo, erano le legittime eredi di una cultura che si fa risalire agli egizi e ai greci. Hanno rappresentato una tradizione antica e affascinante, fenomeno scomparso con la modernizzazione e il cambiamento delle pratiche funebri, rimanendo solo nei racconti delle persone più anziane.
Il termine “prefiche” si usa oggi per indicare chi piange e si dispera per qualche evento drammatico anche se in realtà non ha minimamente interesse alla cosa.