“VEDELLÓNE” era il soprannome di DON ALFONSO DI GIOVINE, nomignolo meritato per via della sua grande pancia, ‘a vedèlle.
Egli era un arciprete e parroco della Chiesa di San Giacomo, dove svolse per molti anni la sua attività pastorale, peraltro riconosciuta e apprezzata. Fu sempre visto come un personaggio della Lucera del tempo, quasi una maschera popolare, furba e manesca, sempre legato alla sua parrocchia e ai parrocchiani.
Sul suo conto si raccontano diverse “ leggende metropolitane “ come quella che, pur di raccogliere fondi per la festa della Madonna del Rosario, in un quartiere bracciantile con una fortissima presenza d’iscritti e votanti PCI, si presentava nelle case dei dirigenti e attivisti, cantando Bandiera rossa. E poi aggiungeva: «Vedete cosa devo fare per la Madonna»,”víde ché s’adda fà p’a Madonne”.
Aveva un’avversione quasi patologica per il cinema all’aperto, l’Arena San Giacomo, che si trovava accanto alla chiesa omonima. Perciò tutte le sere, quando cominciava la proiezione dei film in programma, faceva suonare le campane a lungo, tra le imprecazioni degli spettatori e dei gestori.
Era conosciuto anche come quello che chiedeva sempre passaggi: si metteva davanti al Palazzo De Peppo, alla destra della Cattedrale, sbirciando nelle auto che passavano, sperando nella solita anima buona.
Era maestro indiscusso della scarocchje (il colpo dato sulla testa con le nocche delle mani chiuse a pugno) date ‘ngape ai ragazzi che andavano a confessarsi da lui. Un’aggiunta alla penitenza delle preghiere, provocando, forse, duraturi rancori verso tutto quello che aveva a che fare con i preti di questi futuri peccatori.
L’italiano lo praticava poco, preferendo, indubbiamente per scelta, esprimersi in un dialetto infarcito da latino maccheronico. Insomma una sorta di Don Camillo “nustrane“.