“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 298
A Lucera non si dice “È una persona oberata di lavoro costretta a fare più mestieri “ ma si dice
– “FACE U BBOJE E U TERAPÌDE”– (Traduzione: Fa il boia ed il tirapiedi)
A Lucera non si dice “Non si può generalizzare e mettere insieme argomenti o persone diversi” ma si dice
– “NN’ÀMME MESCKÀ CÈNERE E PANNE LÚRDE” – (Traduzione: Non dobbiamo mischiare cenere e panni sporchi)”
A Lucera non si dice “Non fa niente aspettando che siano altri a fare” ma si dice
– “CHI U MBÈNNE E CHI U SPÈNNE “ – (Traduzione: Chi lo impicca e chi lo tira giù)
A Lucera non si dice “È una persona ribelle, che non si lascia domare” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE A NU CAPECÌFERE” – (Traduzione: Rassomiglia a un diavolo)
A Lucera non si dice “È sempre assillato da mille pensieri” ma si dice
– “TÉNE SÈMBE U CEFREGNÒNE PE NGAPE “– (Traduzione: Ha sempre preoccupazioni in testa)
A Lucera non si dice “Non facciamo le cose più grandi di come realmente sono” ma si dice
– “MÒ FACÌME TTRÈ FÌCHE NOVE ROTELE “ – (Traduzione: Adesso non facciamo di tre fichi nove rotoli)
A Lucera non si dice “Le infatuazioni passano rapidamente” ma si dice
– “AMÓRE DE PAGGHJE SÙBBETE SE SQUAGGHJE “ – (Traduzione: Amore di paglia immediatamente sparisce)
A Lucera non si dice “Per raggiungere il proprio scopo ha fatto l’impossibile” ma si dice
– “È JJÚTE FINE ‘N GGIRESALEMME “ – (Traduzione: È andato fino a Gerusalemme)
A Lucera non si dice “La dolcezza tranquillizza anche la persona più tirannica e odiosa” ma si dice
– “U MÚLLE ROMBE U TÚSTE” – (Traduzione: Il morbido rompe il duro)
A Lucera non si dice “È un errore che con un minimo d’accortezza potevo facilmente evitare” ma si dice
– “AGGHJE FATTE ‘A FESSARÌJE D’U CAFÓNE” – (Traduzione Ho commesso l’errore del cafone)
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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