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1 Novembre 2024
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Dialettando 322 – Modi di dire Lucerini

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lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 322

A Lucera non si dice “È uno spreco inutile“ ma si dice “SE FACE SCKITTE SPRECHÌGGHJE “ – (Traduzione: Si fa solo spreco)

A Lucera non si dice “Gli è venuta una appariscente protuberanza” ma si dice “L’È SSCIÚTE U VÚZZE “ – (Traduzione Gli è uscita un’escrescenza)

A Lucera non si dice “È riuscito a raggiungere il proprio obiettivo” ma si dice “CI’À PPESSCIATE E CI’À FFELATE “ – (Traduzione: Ha pisciato e ha filato)

A Lucera non si dice “Non si possono fare spese pazze senza averne la possibilità” ma si dice “MÒ, JAME A SFUNNÀ U CÚPPE PAPANÒNNE “ – (Traduzione: Adesso, andiamo a rompere il salvadanaio del nonno )

A Lucera non si dice “Ha una casa che brilla per la pulizia” ma si dice “ÉJA ‘NA FÈMMENE PULÍTE FIN’E ‘NGÚLE” – (Traduzione: È una donna che è pulita fino al sedere)

A Lucera non si dice “È una persona che mangia con una grande avidità” ma si dice “ASSEMÈGGHJE ‘A SCROFE CICCHÈTTE, CHE SÈ FRECATE NUUANDANÓVE CHECOZZE E VACE ANGÓRE RACCUGGHJÈNNE SEMÈNDE “– (Traduzione: Sembra la scrofa di Cicchetti che si è mangiato novantanove zucche e va ancora raccogliendo i semi)

A Lucera non si dice “Nel matrimonio esiste un legame privilegiato con i parenti della moglie piuttosto che con quelli del marito” ma si dice “I PARÌNDE D’U MARÍTE SÒ AGRE CÚM’A CÍTE, I PARÌNDE D’A MUGGHJÉRE SÒ DDOCE CÚM’U MÉLE” – (Traduzione: I parenti del marito sono aspri come l’aceto, i parenti della moglie sono dolci come il miele)

A Lucera non si dice “ Fa le faccende di casa in modo superficiale, alla buona, senza cura” ma si dice “FACE I SERVIZÍJE SÈMBE ARRACCIACIATE “ – (Traduzione: Fa i mestieri sempre in modo arrangiato)

A Lucera non si dice “Sono stato immediatamente chiaro” ma si dice “CE L’AGGHJE DITTE ‘MBRIMA LANZE “ – (Traduzione: Glielo detto sin dall’inizio)

A Lucera non si dice “Ha represso il riso per non farsi scoprire” ma si dice “‘A RÍSE A SCKATTIGGHJE”– (Traduzione: Ha riso scoppiando)

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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