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29 Marzo 2024
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Sfogliando: “CUMBAGNE, ÍJE FATICHE E TU MAGNE” – “JANCHE U FIÓRE, MA NIRVE ‘U CÓRE”

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I proverbi e i modi di dire lucerini sono tanti. Di solito la loro origine è lontana e frutto di culture passate. Molto spesso hanno alle loro spalle un riferimento ben preciso, ovvero una storia e un significato, che non molti conoscono, dato che si tratta di detti appartenenti alla tradizione, alcuni scomparsi e altri poco in uso. Allora, non è mai troppo tardi per riproporli e questa rubrica offre un’opportunità piacevole, e speriamo interessante, per saperne di più.

41693199502_807bddfc92_b“CUMBAGNE, ÍJE FATICHE E TU MAGNE” – “JANCHE U FIÓRE, MA NIRVE ‘U CÓRE”

Traduzione: “Compagno, io lavoro e tu mangi” (indirizzato ai comunisti). Bianco il fiore ma nero il cuore” (indirizzato ai democristiani)

Significato:  “Singolari sfottò rivolti all’indirizzo dell’avversario di partito, che arricchivano il dibattito politico del secondo dopoguerra”

Curiosità:  Nel periodo immediatamente successivo alla caduta del fascismo e alla liberazione dell’Italia, con la fine della Seconda guerra mondiale, riprese la vita democratica in tutto il Paese. A Lucera, appena liberata il 28 settembre 1943 con l’arrivo delle truppe alleate canadesi, la vita politica e sociale si organizzò attorno ai partiti e al sindacato unitario, che si costituirono con una rapidità impressionante. I maggiori partiti furono il Partito comunista italiano (Pci), il Partito socialista italiano (Psi), la Democrazia cristiana (Dc) e il Partito liberale italiano (Pli). Il Pci fu il punto di riferimento dei braccianti, contadini poveri, molti operai delle fabbriche di laterizi, dei mulini e pastifici; al Psi aderirono operai, professionisti, muratori e ceto medio cittadino di orientamento laico; alla Dc, sostenuta dalla gerarchie e dalle organizzazioni cattoliche, si aggregarono fittavoli, coltivatori diretti, piccoli proprietari terrieri e il ceto medio cittadino impiegatizio; il Pli raggruppò i vecchi liberali, sia quelli che avevano aderito al fascismo sia quelli che erano rimasti fuori, i conservatori, i medi e grandi latifondisti. Con queste forze, e con altre di minore entità, si arrivò all’appuntamento elettorale del 2 giugno 1946 per scegliere, con referendum istituzionale, la forma di stato, ossia Monarchia o Repubblica. Si votò con il suffragio universale, cioè con l’esercizio del diritto di voto esteso alle donne, che avevano già partecipato per la prima volta al voto nelle consultazioni amministrative del marzo 1946. I comunisti, i socialisti, gli azionisti e i laici, erano per la forma di stato repubblicano, mentre le destre, i nostalgici e i conservatori erano a favore del mantenimento della forma monarchia. I Democristiani, profondamente divisi al loro interno, optarono per una sorta di pilatesca neutralità; mentre le parrocchie del Sud, tranne rarissime eccezioni, con i preti e gli iscritti all’azione cattolica, fecero campagna a favore della monarchia. La partecipazione degli elettori all’appuntamento referendario a Lucera, come nel resto del Paese, toccò una percentuale altissima. Il referendum fu vinto dai sostenitori della scelta repubblicana con il 54% circa, contro il 46% circa di voti per il mantenimento della monarchia. A Lucera i risultati furono favorevoli di stretta misura alla scelta monarchica: il 50,9% contro il 49,1%, poiché su 12063 votanti, 5582 si espressero per la monarchia e 5384 per la repubblica. I risultati lucerini a favore della forma di stato repubblicana furono migliori di gran lunga di quelli ottenuti a livello provinciale (45,4%), regionale (32,7%) e del Mezzogiorno (32,8%).


Rubrica di Lino Montanaro & Lino Zicca

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