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Dialettando – “A Lucera si dice 23”, valori espressivi, sentimentali e modi di essere

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Lino Montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

Il dialetto lucerino ha una profonda potenza espressiva, per cui in poche lettere si riescono a racchiudere una vasta gamma di valori espressivi, sentimenti e modi di essere.

Ecco alcuni esempi:
• A Lucera per indicare che qualcuno ha approfittato in maniera esagerata, eccessiva, si dice “ S’È MMENÁTE NGHJÍNE “
• A Lucera per indicare che si è rimasti male, delusi, contrariati da qualcosa , si dice “ ME JJÚTE NGRECIÚNE “
• A Lucera per indicare che un certo comportamento è sconveniente, si dice “PÁRE BBRÙTTE! “
• A Lucera quando, per un improvviso vuoto di memoria, non viene alla mente il termine esatto per indicare qualcosa, si dice “ U FATTE APPOSTE “
• A Lucera quando non ci si assume alcuna responsabilità, si dice “ SCUTULÁRSE I PÚLECE “
• A Lucera quando sopraggiunge un capogiro, un attimo di vertigine, si dice “ TÉNGHE NU VOTACÍLE
• A Lucera quando si esprime platealmente rabbia e risentimento, si dice “ SÁNGHE E CHI T’È MÚRTE! “
• A Lucera tutto ciò che provoca una fioca irritazione o intensa furia e collera, si dice “ VELÉNE “
• A Lucera per indicare una persona piuttosto distaccata e insofferente nei rapporti con gli altri, si dice “ TÉNE U CÁNDRE SÒTT’U NÁSE “
• A Lucera quando si lancia uno sguardo minaccioso, severo, che lascia come congelati, si dice “ FÀ ‘NA CERRATÚRE “
• A Lucera quando si ha un atteggiamento non appropriato in una determinata situazione, si dice “ L’È VENÚTE U FÍTE NGÚLE “

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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