“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 159
A Lucera non si dice “Non puoi neanche sfiorarlo, è sempre arrabbiato” ma si dice
– “NN’U PUJE MÁNGHE TUCULIJÀ, STÁCE SÈMBE URGIÁTE “
A Lucera non si dice “Nella vita una sola cosa è impossibile: che l’uomo sia incinto. Per il resto non ci si deve meravigliare di nulla“ ma si dice
– “TUTTE PÒ ÈSSE, FÓRE CHE L’ÓME PRÉNE”
A Lucera non si dice ” È una persona spregevole nell’intimo” ma si dice
– “ÉJE NU FETÉNDE DA DIND’A L’OSSERE”
A Lucera non si dice “Si è spaventato tantissimo“ ma si dice
– “À PEGGHJÁTE NU SORTE DE SCKÁNDE, S’È FÁTTE QUAND’E ‘NA MICCULE “
A Lucera non si dice ” I soprusi si fanno più spesso a chi non si ribella” ma si dice
– “‘A VÁRDE S’ADDA MÈTTE A CHI S’À TÉNE”
A Lucera non si dice ” Per ogni persona prima o poi arrivano i momenti di gioia” ma si dice
– “PE OGNE SÁNDE ARRIVA ‘A FÈSTE”
A Lucera non si dice “Per raggiungere dei risultati bisogna insistere” ma si dice
“ ‘A GOCCIA CUNDINUUE SPÁCCHE ‘A PRÉTE”
A Lucera non si dice “Nonostante abbia ricevuto molti favori, non si è mai disobbligato“ ma si dice
– “S’AVESSE MÁJE ATTANDÁTE U NÁSE!”
A Lucera non si dice “Non sono di Lucera, sono persone che vengono dalle montagne“ ma si dice
– “SÒ FRUSTÍRE, SÒ ZIJA, ZIJE D’A MUNDÁGNE “
A Lucera non si dice “Pur essendo grande e grosso , non è capace di eseguire alcun compito“ ma si dice
– “ÉJE CÚME N’ÀREVE DE CEPRÈSSE, ÀVETE, LUNGHE E FFÈSSE“
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte)
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