“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 255
A Lucera non si dice “Se ci si vuole vendicare non si deve mai agire di impulso” ma si dice
– “STIPE U SALVEJÈTTE PE QUANNE ARRIVE U BBANGHÈTTE “ (Traduzione: Conserva il tovagliolo per quando ci sarà il banchetto)
A Lucera non si dice “È un tipo che non parla perché è indeciso sul da farsi“ ma si dice
– “SÈNZA DÌ NNÉ IRRE, NNÉ ARRE, NNÉ BBUZZARRÀ“ (Traduzione: Senza dire nulla)
A Lucera non si dice “È rimasto vedovo” ma si dice
– “À AVÚTE U DESPIACÉRE D’A MUGGHÉRE” (Traduzione: Ha avuto il dispiacere della moglie)
A Lucera non si dice “Le qualità di una persona si mostrano nei momenti difficili” ma si dice
– “QUANN’U MARE È CALME, ÓGN’E STRÚNZE È MARENARE “ (Traduzione: Quando il mare è calmo, ogni stronzo è marinaio )
A Lucera non si dice ” Più la suocera si fa i fatti suoi, meno incomprensioni ci sono con la nuora” ma si dice
– “SOGRA CECATE, NNÓRA FERTUNATE” (Traduzione: Suocera non vedente , nuora fortunata)
A Lucera non si dice “La fatica eccessiva può diventare un male grave, ma la fissazione è insopportabile“ ma si dice
– “ ‘A FATIGHE T’ACCÍDE E U PENZÍRE TE STRUPPEJE “ (Traduzione: La fatica ti uccide e il pensiero ti rovina)
A Lucera non si dice “Ma da dove spunta fuori?” ma si dice
– “DA NDÒ E’ SSCIÚTE, DA DÌNDE A L’ÓUE DE PASQUE?” (Traduzione: Da dove è uscito, da dentro l’uovo di Pasqua?)
A Lucera non si dice “Attivati prima che succeda qualcosa a cui non è possibile poi porre più rimedio” ma si dice
– “QUANNE SÍNDE U TRÚNELE, PIGGHJE SÙBBETE U MBRÈLLE “ (Traduzione: Quando senti il tuono, prendi subito un ombrello)
A Lucera non si dice “Si lamenta continuamente e in modo esagerato della propria condizione“ ma si dice
– “PARE CÚME SI STÈSSE SÈMBE C’A VOCCHE SÒTT’O GRUNZALE” (Traduzione: Sembra che ha sempre la bocca aperta sotto la gronda)
A Lucera non si dice “È un perfezionista” ma si dice
– “NEN MMAGNE PANE PE NEN FÀ CADÈ I MULLÍCHE“ ( Traduzione: Non mangia pane per non far cadere le molliche)
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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