“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 288
A Lucera non si dice “Succede che si perde un’opportunità per non essere solleciti” ma si dice
– “TRAMÈNDE U CANE PISSCE, U LÉBBRE SCKAPPE “ – (Traduzione: Mentre il cane urina, la lepre scappa)
A Lucera non si dice “Spesso si creano situazioni pericolose per uno scopo ben preciso” ma si dice
– “SI MÌTTE ‘A PAGGHJE VECIN’O FÚCHE S’APPICCE “ – (Traduzione: Se metti la paglia vicino al fuoco, s’incendia)
– A Lucera non si dice “Chi me l’ha fatto fare!” ma si dice
– “CHI M’À CECATE!” – (Traduzione: Chi mi ha accecato!)
A Lucera non si dice “Ognuno pensa sempre a far bene i propri affari” ma si dice
– “OGNÚNE SE PRÉGHE U CRISTE SÚJE” – (Traduzione Ciascuno si prega il suo Cristo)
A Lucera non si dice “Ci ho rimesso tutto!” ma si dice
– “AGGHJE PÉRZE CARNE E CCUREJE!” – (Traduzione: Ho perso carne e cintura!)
A Lucera non si dice “Perbacco, e che caratteraccio!” ma si dice
– “E CHE CACCHJE, PARE CH’È STATE N’ANNE SÒTT’ACÍTE!“ – (Traduzione: E che cavolo, sembra che è stato un anno sottoaceto!)
A Lucera non si dice “Impiega molto tempo per eseguire le faccende domestiche” ma si dice
– “E CHE SORTE DE PATANA MOSSCE! ” – (Traduzione: Ma che specie di donna fiacca!)
A Lucera non si dice “Ha seri problemi di comprendonio” ma si dice
– “È CADÚTE DA DÌND’A NACHE” – Traduzione: (È caduto dalla culla)
A Lucera non si dice “Bisogna agire con cautela con le persone che non si conoscono “ ma si dice
– “O CANE FRUSTÍRE NGE REFONNE I STOZZERE“ – Traduzione: (Al cane forestiero non rifonderci i tozzi di pane)
A Lucera non si dice “Amare esageratamente fa fare cose insensate e assurde” si dice
“ ‘A TROPPA FFEZZIÓNE , FACE PÈRDE ‘A RAGGIÓNE “ – (Traduzione: Il troppo bene, fa perdere la ragione)
Foto di Luigi Simonetti
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
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Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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